Curioso! Gli attentatori islamici lasciano i loro documenti sul luogo del delitto. Lo ha fatto l’attentatore del TIR scagliato sui mercatini di natale a Berlino. Lo hanno fatto gli autori degli attacchi a Parigi. Così avvenne nel caso Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015, rivendicato da al Qaida in Yemen, gli investigatori trovarono la carta d’identità di uno dei due attentatori, Saïd Kouachi, sull’auto usata per arrivare alla sede del giornale. Altrettanto accadde per uno degli attentatori di Parigi che si fece esplodere di fronte allo Stade de France nel novembre dello stesso anno. Le vicende si ripetono per il caso di Nizza del 14 luglio 2016 (l’autore dell’attentato lasciò un suo documento di riconoscimento sul camion con il quale investì la folla sul lungomare della città, il 14 luglio). Ma perché i terroristi vogliono far trovare i loro documenti? Perché questo accade anche quando non muoiono nell’attentato, ma tentano la fuga? Non capiscono di rendersi più rapidamente identificabili dalle autorità? E perché chi ritiene che questo sia un sigillo per chiudere le indagini ed impedire di cercare tra i potenti viene immediatamente etichettato come “complottista”?
Come ha raccontato il quotidiano belga Le Soir, la “prassi dei passaporti” ha avuto inizio con gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York (ma davvero un grattacielo colpito orizzontalmente si sgretola verticalmente come si vede nei filmati?)
Tra le macerie degli edifici fu trovato il passaporto intatto (!!!) di uno dei dirottatori.
Come sono sbadati questi terroristi! Anzi no. La spiegazione che “va per la maggiore” è che tengono narcisisticamente (novelli edonisti reaganiani) alla loro celebrità. Curiosamente, anziché scirvere un messaggio, una poesia, anche un versetto del Corano, ritengono di riuscire in questo intento lasciando il passaporto. Che concezione burocratica dell’ aldilà…
Sarà vero?
Buon natale, people!